Formazione: esperienza morta o strumento psicologico?

Abstract

Questo articolo affronta il tema della formazione sportiva per gli atleti di calcio e si propone di mettere in luce il rapporto tra i modelli didattici adottati dagli allenatori e l'appropriazione che gli adolescenti fanno dei contenuti che compongono il loro sport. Il materiale esaminato in questo articolo è stato ottenuto utilizzando il dispositivo metodologico del Simple Self-Confrontation, secondo le formulazioni della Clinic of Activity di Ives Clot, utilizzando l'analisi dei documenti, l'osservazione partecipante, le interviste semi-strutturate e l'analisi video. Considerato che il momento di permanenza nella categoria base ha il chiaro scopo di produrre atleti per il calcio professionistico, sembra pertinente supporre che il modo in cui si svolgono le attività con i giovani interferisca con la tipologia di professionista formato per essere un calciatore. Nell'analisi presentata, gli atleti variavano tra ampia dipendenza dalla figura dell'allenatore e autonomia per quanto riguarda l'analisi delle proprie prestazioni e la capacità di apportare modifiche o aggiustamenti per poter svolgere il proprio lavoro al momento della partita. Così, partendo dal quadro teorico-concettuale della Psicologia Storico-Culturale, si comprende il ruolo dell'allenatore come agente di mediazione dell'apprendimento sportivo, segnalando che i diversi stili pedagogici portano alla formazione di atleti con caratteristiche altrettanto diverse, in quanto interferiscono nell'appropriazione che il soggetto fa dei contenuti. Sulla scia delle discussioni sull'atleta intelligente, è importante osservare quali strategie pedagogiche sembrano favorire la formazione di questo tipo di atleta.